COMITATO ESECUTIVO Roma, 13 settembre 2016 Relazione Annamaria Furlan
COMITATO ESECUTIVO
Roma, 13 settembre 2016
Relazione Annamaria Furlan
Care Amiche, Cari Amici
è con profonda commozione che come prima cosa voglio dedicare un ricordo al nostro caro amico Pietro Merli Brandini, venuto a mancare lo scorso 2 settembre all’affetto dei suoi cari.
Un grande sindacalista e un grande uomo, di grande spessore intellettuale, ma anche di straordinaria umanità, che ha fondato ogni sua azione sindacale sulla valorizzazione e sulla strategicità della contrattazione e della concertazione. Una lunga carriera da dirigente sindacale della Cisl, segretario confederale dal 1977 al 1983, con ruoli di rappresentanza nel Comitato economico e sociale dell’Unione europea (1958-1978) e nel Tuac-Ocse (organismo sindacale presso l’Ocse), è stato anche Presidente del Cenform, il Centro Formazione, Studi e Ricerche di Roma.
La Cisl gli deve molto, deve molto al suo pensiero aperto e coraggioso, alla sua tempra e alla sua profonda serietà e lungimiranza nelle relazioni economiche e industriali, dagli anni 60 in cui è stato protagonista, fino ai nostri giorni. Non ha mai smesso di “ragionare e analizzare” tutte le dinamiche dell’attualità economica, politica e sindacale, fornendo sempre a tutti noi spunti mai banali e mai retorici.
Alla famiglia va l’abbraccio ideale mio personale e di tutto l’Esecutivo della Cisl. Grazie Pietro.
Si apre l’orizzonte politico si oscura la prospettiva economica
Voglio fare il punto, anzitutto, sugli accordi siglati che ci hanno visti protagonisti in questi ultimi due mesi.
Il 14 luglio scorso CGIL, CISL, UIL e Confindustria hanno stipulato l’Accordo per estendere, quanto più possibile, attraverso la contrattazione, anche alle PMI e anche in assenza di Rappresentanza sindacale aziendale la detassazione del salario di produttività, prevista dalla Legge di stabilità 2016 e dal relativo Decreto dello scorso 25 marzo, grazie al riconosciuto protagonismo della CISL.
Il Comunicato congiunto riconosce grande rilievo allo “sviluppo della cultura del coinvolgimento paritetico dei lavoratori nell’organizzazione del lavoro”.
Qualche giorno fa, il 1° settembre, CGIL, CISL, UIL e Confindustria hanno sottoscritto l’Accordo sulle politiche del lavoro, con particolare attenzione ai processi di ricollocazione dei lavoratori in esubero, al ruolo decisivo dei Fondi bilaterali interprofessionali, alle tutele occupazionali quando ricorrano le condizioni di risanamento e di ripresa delle imprese chiedendo, nel contempo, al Governo il potenziamento degli ammortizzatori sociali senza aggravio di costi.
Il 6 settembre e ieri, 12 settembre, si sono svolti al Ministero del lavoro gli incontri con il Ministro Poletti sulla riforma del sistema pensionistico, con l’obiettivo condiviso di cambiare la Riforma Fornero. Nei giorni precedenti, si sono anche svolti gli incontri relativi al tavolo sui temi del mercato del lavoro. Entrambi i confronti si concluderanno con la riunione del prossimo 21 settembre.
Al recente meeting annuale di Cernobbio il Ministro per lo sviluppo economico, Calenda, ha annunciato un Piano strategico per l’Industria 4.0 che diventerà parte integrante e qualificante della Legge di stabilità 2017, dopo un confronto approfondito con le Parti sociali.
Tornerò più in dettaglio sugli Accordi e su quest’ultimo punto, perché mi preme, da subito, sottolineare il profondo cambiamento di clima politico che abbiamo riscontrato.
Sta tornando alla ribalta il protagonismo e la capacità di proposta delle parti sociali, la disponibilità al confronto da parte del Governo, l’apertura di tavoli strategici, ovvero la direzione di marcia che la Cisl, da sola, ha sostenuto con determinazione e lungimiranza per quasi due anni, osteggiata dalle chimere dell’autosufficienza, da un lato, e del massimalismo, dall’altro.
Ne siamo orgogliosi, senza autocompiacimenti né autoreferenzialità che non ci appartengono, per il lavoro e per il Paese, che della convergenza strategica tra Governo e parti sociali, nei nostri intenti realizzata attraverso un grande Patto sociale, ha oggi più che mai un vitale bisogno, più di ieri, perché l’orizzonte economico si sta nuovamente oscurando.
Le stime di agosto di crescita zero nel secondo trimestre di quest’anno sono state, infatti, confermate dall’Istat all’inizio di settembre, con un piccolo aggiustamento statistico relativo al 2015 che consentirebbe nel 2016 una crescita del PIL dello 0,7%, anche se la crescita zero continuasse nel terzo e nel quarto trimestre.
La Legge di stabilità 2016 prevedeva una crescita dell’1,6%, poi ridimensionarla all’1,2% e, nella Nota di aggiornamento al DEF, attesa per fine settembre, verosimilmente abbattuta ben al di sotto dell1%, intorno alla metà della stima programmatica iniziale.
Questo mette la sordina alla previsione che crescendo a questi ritmi torneremmo al PIL del 2007 alla fine del 2028.
Si rimuove, poi, il drammatico rischio che la crescita zero non sia l’anticamera del PIL a + 0,7%, ma il prologo di una nuova recessione (sarebbe la terza in 8 anni).
Con queste premesse va considerato che tra quanto annunciato dal Presidente del consiglio, Renzi, e i dati reali del ciclo economico lo scarto è troppo grande e in costante aumento per essere rimosso e in questo scarto si gioca il futuro del Paese.
Per queste ragioni urge, anche da parte nostra, tornare ai fondamenti della nostra riflessione strategica. Ce lo impone la nostra responsabilità verso il lavoro e verso il Paese. Ce lo consente l’intelligenza collettiva della nostra autonomia.
Riformismo dei sintomi e riformismo strutturale
Dopo 2 anni e mezzo di Governo Renzi siamo tornati al punto di partenza. Perché? Il Governo non risponde. Si limita a invocare gli effetti, reali, della caduta della domanda globale e della BREXIT. Ma una politica anti ciclica dovrebbe, per definizione, essere in grado di contrastarli!
Dalle indiscrezioni sull’impostazione della Legge di stabilità 2017 sembra che la decontribuzione per le assunzioni-trasformazioni a tempo indeterminato non venga più rinnovata, che l’IRES verrà ridotta dal 27,5% al 24%, che la manovra fiscale sui premi di produttività venga rafforzata e la riforma dell’IRPEF rinviata alla Legge di stabilità del 2018. Il Governo, pur di fronte all’evidenza della crescita zero, non cambia l’impostazione seguita nelle precedenti Leggi di stabilità.
Ma la domanda resta aperta: perché siamo tornati a crescita zero?
Da ormai 2 anni, da quando affrontammo in Esecutivo Nazionale la valutazione della Legge di stabilità 2015, la CISL ha formulato un suo modello di analisi e di giudizio sull’efficacia dell’azione di Governo che riassumerei così: il Governo anche se dice di fare riforme strutturali pratica, in realtà, un RIFORMISMO DEI SINTOMI, che interviene, cioè, sui sintomi più evidenti degli squilibri economici e delle sofferenze sociali: dagli 80 euro, all’Irap, agli Imbullonati, all’Imu agricola, alla Decontribuzione, al Super ammortamento, alla Sabatini, agli incentivi all’innovazione, al sostegno alla povertà, al contributo per i figli.
Una batteria così articolata di interventi è, senza dubbio, rilevante e, da parte nostra, ne abbiamo analiticamente soppesato, apprezzato, criticato punto per punto, gli impatti potenziali.
Ma questa politica ha un comune denominatore che le impedisce di essere risolutiva: non aggredisce la matrice strutturale che tiene ancora inchiodata l’economia italiana all’oscillazione tra recessione e stagnazione. E la matrice strutturale, lo diciamo da tempo, è costituita dai consumi e dagli investimenti la cui somma fa la domanda aggregata.
Gli 80 euro – di cui non hanno beneficiato pensionati e incapienti – sono stati azzerati dall’aumento della fiscalità locale; quindi una partita di giro. La Decontribuzione ha incentivato assunzioni e trasformazioni a tempo indeterminato, ma la strada per recuperare il milione di posti di lavoro persi durante la crisi è ancora lunga. Conseguenza: i consumi interni ristagnano e la persistente instabilità favorisce la ripresa della propensione al risparmio.
Gli altri strumenti messi in campo dal Governo riguardano gli incentivi agli investimenti che non danno segnali di ripresa,soprattutto gli investimenti fissi lordi e, nel loro ambito, quelli in macchinari e attrezzature, decisivi per non perdere il ritmo dei cicli di innovazione tecnologica, organizzativa e professionale, quindi per mantenere un elevato indice di competitività. Le ultime rilevazioni ISTAT lo confermano: gli investimenti in macchinari e attrezzature nel secondo trimestre 2016 rispetto al secondo trimestre 2015 sono diminuiti dello 0,3% e rispetto al primo trimestre 2016 dello 0,8%. Perché? Nonostante un incentivo potente: investo 100, ammortizzo 140, aumento la redditività.
Perché l’investimento privato riparte a due condizioni: 1. se c’è una forte ripresa della domanda di beni di consumo che gli garantisca un mercato sicuro per l’aumentata capacità produttiva e 2. se l’investimento pubblico espande la domanda di infrastrutture logiche e fisiche, di tutela ambientale, di prevenzione idrogeologica, di messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici dalle scuole, agli ospedali e così via.
In assenza di questi vettori strutturali (veri) tutta la batteria degli strumenti di incentivazione spara a salve. In presenza della base strutturale diventa un potente moltiplicatore, perché ha un moltiplicando reale da moltiplicare.
Ecco perché il riformismo dei sintomi dopo 2 anni non ha prodotto la svolta ciclica attesa. E perché, invece, un Riformismo strutturale (non nominalistico) sarebbe in grado di realizzarla e di dare efficacia ausiliaria anche al riformismo dei sintomi, che da solo è impotente.
E la produttività? Il nostro criterio di valutazione è pertinente anche in riferimento al fattore decisivo della competitività del Paese. Per quanto ci riguarda abbiamo fatto tutto ciò che compete al nostro ruolo, ovvero predisporre la strumentazione per favorire e per gestire la crescita della produttività: detassazione del salario di produttività (che il Governo ha correttamente recepito), gestione delle ricadute sui modelli organizzativi delle innovazioni tecnologiche, innovazioni dei modelli di inquadramento per leggere i nuovi skill professionali, formazione permanente, relazioni sindacali partecipative.
Tutta la strumentazione di sistema per gestire tassi elevati di aumento della produttività è in campo. Manca, però, il motore che avvii il processo e il motore sono gli investimenti in innovazioni tecnologiche e processi innovativi ad alto contenuto di specializzazione. Il Paese non riparte se non c’è una forte ripresa della domanda aggregata non dà il colpo di inizio. Se la produttività non cresce tutta la strumentazione preparata con lungimiranza per gestirla, ottimizzarla, distribuirne equamente i guadagni resterà al palo. Noi abbiamo fatto la nostra parte integralmente. Ora il Governo deve fare la sua per rimettere in moto gli investimenti.
Che cosa consegue da queste brevi osservazioni? Che il Governo di fronte al pericolo di una nuova recessione non può procedere con la vecchia impostazione, tutta giocata dal lato dell’offerta, che ha dimostrato i suoi limiti e deve impostare sul rilancio della domanda interna tutta la manovra di finanza pubblica.
Questo è il baricentro sul quale concentrare risorse e forza d’urto e dev’essere selettivo poiché 15 Mld di euro (metà della probabile manovra 2017) sono già impegnati per disinnescare le clausole di aumento automatico dell’Iva. Solo a queste condizioni la decisa ripresa della domanda di beni di consumo trascinerà stabilmente l’investimento e la crescita fuori dalla palude nella quale continuano a essere impantanati.
Tutti i corollari che rafforzano la domanda, dalla quattordicesima per i pensionati, al mantenimento della decontribuzione, al rinnovo adeguato dei Ccnl del Pubblico impiego, alla lotta alle povertà sono benvenuti, ma il baricentro dev’essere l’Irpef.
La seconda deduzione riguarda l’investimento pubblico.
Ci attendiamo un programma di investimenti in infrastrutture logiche e fisiche importante, stornato dal calcolo del deficit e un piano di investimenti di lunghissimo termine nella tutela idrogeologica del nostro Paese e nella messa in sicurezza antisismica degli edifici pubblici, accompagnata da una radicale revisione delle incentivazioni fiscali alle ristrutturazioni antisismiche degli edifici privati, sulla base di un’accurata definizione degli indici di rischio sull’intero territorio nazionale.
Se un’operazione di questo tipo fosse stata avviata ai tempi del terremoto del Belice, del Friuli o dell’Irpinia oggi non ci troveremmo a piangere i morti di Amatrice e di Arquata del Tronto. Dopo ogni tragedia l’inettitudine di una rappresentanza politica, senza distinzione di partiti, storicamente incapace di impegnarsi su un programma serio e inderogabile di tutela del territorio e di salvaguardia della vita dei cittadini riesplode inesorabile. Lo straordinario slancio concreto di solidarietà e di partecipazione che anche in questa occasione si è manifestato, la prova confortante della stupenda forza morale di cui il nostro Paese ancora dispone, meriterebbe il rispetto e l’onore di una risposta strategica adeguata alla profondità di una tale testimonianza!
Le linee di intervento descritte costituiscono il dispositivo strutturale in grado di superare il punto di non ritorno della svolta ciclica.
Dobbiamo dire che abbiamo apprezzato l’intervento rapido del Governo nell’istituire il progetto “Casa Italia” e nel coinvolgimento di tutte le parti sociali e dell’impresa del Paese: abbiamo avuto una prima consultazione il 6 settembre e questo pomeriggio è stata convocata una seconda riunione dal Sottosegretario Claudio De Vincenti che affronterà il tema della “Ripresa economica delle zone colpite dal sisma”, insieme al Commissario straordinario per la ricostruzione, Vasco Errani, e la Protezione Civile.
La Cisl, come sapete, sostiene la proposta di un progetto pilota per salvaguardare i borghi e i centri storici, finanziato da project bonds con l’appoggio dell’Europa, scorporando la spesa per questi investimenti dal calcolo del deficit pubblico.
Riteniamo, dunque, molto importante che sia partita questa fase di concertazione con tutte le parti sociali sulla ricostruzione delle aree terremotate e complessivamente sul tema della messa in sicurezza del territorio, delle case degli italiani, delle scuole e del patrimonio architettonico. C’è bisogno di una nuova politica di prevenzione delle calamità naturali, per la sicurezza del territorio e del dissesto idrogeologico, che sappia lavorare e prevedere soluzioni a lungo termine.
La concertazione serve non solo nel rapporto tra le parti sociali, ma anche tra i livelli istituzionali nazionali e locali.
Care Amiche, Cari Amici,
quello che ho tracciato con consapevole decisione in questa relazione esprime una profonda preoccupazione: che il Paese precipiti nella terza recessione in 8 anni e che una tale, infinita, permanenza nella crisi renda possibile un radicale cambiamento del quadro politico.
L’alleanza dei nazional populismi razzisti, xenofobi, anti Europa e anti euro, sta lì, pronta all’incasso delle elezioni politiche. Tutti i sondaggi concordano nella previsione secondo la quale, con il nuovo sistema elettorale, da un eventuale ballottaggio tra PD e Movimento 5 Stelle uscirebbe ampiamente vincente il M5S. La cui ultima proposta è l’uscita dell’Italia dall’euro.
Il disastroso tentativo di decollo dell’Amministrazione Raggi a Roma, dopo l’investitura plebiscitaria conseguente al fallimento senza appello della stagione di “Mafia Capitale” è inquietante. Il Governo della Capitale d’Italia è in panne.
Più in generale un dato è certo: una nuova recessione produrrebbe sul lavoro, sul Paese, sugli assetti democratici lesioni strutturali ad alto rischio. Per queste ragioni dev’essere evitata.
Per le medesime ragioni bisogna continuare ad incalzare il Governo sulla via della costruzione di un vero e proprio Patto sociale – per il quale la Cisl si batte da anni – che è l’unico strumento con cui il Paese può uscire vincente!
Abbiamo condiviso l’ispirazione espansiva della politica economica del Governo, ma ne abbiamo costantemente criticato la debole traduzione riformista e abbiamo sempre accompagnato la critica motivata con proposte alternative.
Sulla gestione del Referendum istituzionale, dopo aver tentato la carta della legittimazione plebiscitaria, legando indissolubilmente il suo destino politico all’esito del Referendum, Renzi, di fronte al rischio della vittoria del No, ha riconosciuto l’errore. Sta tentando di disinnescare i rischi oligarchici che la combinazione tra Riforma istituzionale e Legge elettorale comporta e che anche la CISL ha sottolineato lasciando, nel Referendum, libertà di scelta ai suoi quadri, ma riconoscendo gli aspetti positivi della Riforma istituzionale, rispetto e coerentemente alle nostre proposte e valutazioni degli ultimi anni.
Le anticipazioni del Ministro dello sviluppo economico Calenda a Cernobbio rappresentano una novità importante sotto il profilo di un rinnovato dialogo sociale.
Il Piano per l’INDUSTRIA 4.0 che, dopo il confronto con le Parti sociali, sarà inserito nella Legge di stabilità, per la prima volta segue un’impostazione sistemica concordata con i Ministeri dell’economia e dell’Istruzione e Università che va dai finanziamenti pubblici alla ricerca; all’introduzione di un nuovo super ammortamento finalizzato all’innovazione delle imprese; alla creazione di un gruppo di Università di eccellenza in sinergia con le imprese (scambio di ricercatori e consulenze).
Da tempo sosteniamo, infatti, che solo un Progetto Paese integrato e un coerente disegno di politica industriale può dare alla svolta ciclica la prospettiva di un ciclo lungo di crescita, di coesione sociale, di stabilità democratica. In questo senso il nostro lavoro anche in campo sociale, insieme alla rete dell’Alleanza contro la povertà, è stato determinante in un cambio di schema che traspare nel Ddl contro la povertà.
Ventotene: la potenza dei simboli e l’afasia del progetto
Il 22 agosto Renzi insieme allla Merkel e a Hollande hanno reso omaggio, a Ventotene, alla tomba di Altiero Spinelli e hanno tenuto l’atteso vertice dopo la BREXIT sulla portaerei Garibaldi.
Chi, come noi, si aspettava un forte colpo d’ala nel rilancio del progetto europeo è rimasto deluso.ante in un cambio di schema che traspare nel Ddl contro la povertà.
Al di là del rito hanno prevalso gli interessi nazionali immediati e l’ombra lunga delle elezioni politiche del 2017 in Francia e in Germania. La Merkel voleva la conferma del Fiscal Compact e dell’Accordo sui migranti con la Turchia di Erdogan. Hollande, che ha sospeso Schenghen sino a ottobre, il rafforzamento della sicurezza comune europea. Renzi ulteriori margini di flessibilità di bilancio (circa 10 Mld) per mantenere il deficit intorno al 2,5%, anziché ridurlo al 1,8%. E su tutti i punti il nuovo Direttorio europeo, dopo l’uscita della Gran Bretagna, ha trovato la quadratura.
Le domande di fondo sono state eluse: perché la BREXIT? Perché la crescita, costante, dei nazional populismi xenofobi e razzisti, veicolo del rischio di contagio, di due, tre, quattro BREXIT?
La nostra diagnosi è nota da tempo. Dal 2005, dalla bocciatura francese e olandese della nuova Costituzione europea, l’Europa ha iniziato una regressione inesorabile sui baricentri nazionali lontana anni luce dal Progetto degli Stati Uniti d’Europa di Spinelli. Ne è derivata l’Europa intergovernativa dominata dal Consiglio Europeo e dall’Eurogruppo, che decidono le politiche imposte alla Commissione Europea dagli Stati egemoni e dagli schieramenti di alleanze nazionali che li sostengono.
Un deficit clamoroso di democrazia, poiché decidono non gli organi eletti (Parlamento Europeo), ma le proiezioni europee dei Governi nazionali. Neanche l’euro è riuscito a far maturare la necessità di dare alla moneta comune una Sovranità europea pienamente legittimata.
All’assenza di legittimazione democratica si è associata la politica disastrosa dell’Austerità fiscale, imposta dalla Germania e dai Paesi nordici, responsabile della seconda recessione, esclusivamente europea, iniziata nella seconda metà del 2011 e, per l’Italia, durata sino alla fine del 2014, con il drammatico fardello di sofferenza sociale ad essa associato.
Istituzioni senza popolo e moneta senza sovrano, hanno trasformato l’Europa, agli occhi di gran parte degli europei, in una sovrastruttura estrinseca e le politiche di austerità in una burocrazia ottusa e ostile in rotta di collisione con le condizioni sociali di milioni di cittadini europei, dall’occupazione al reddito, al futuro. Il mantra di una schiera di leader nazionali (che saranno ricordati per la loro pochezza) “ce lo chiede l’Europa!” ha contribuito non poco alla diffusione del virus antieuropeo.
La brutale virata verso i baricentri nazionali ha bloccato ogni avanzamento politico verso la Federazione Europea, la possibilità di una politica estera, di un esercito, di una politica di sicurezza europea capace di dimostrare sul campo ai suoi cittadini e al mondo che l’Europa rappresentava la dimensione istituzionale e politica sovranazionale adeguata a governare dinamiche globali.
La combinazione di tutte queste tare strutturali ha prodotto e consolidato la percezione diffusa di un’Europa che distribuisce sofferenza sociale ed è in balìa di dinamiche sovranazionali che non riesce a governare, dalle migrazioni al terrorismo, fallendo, così, nei suoi compiti essenziali di tutelare il lavoro, la sicurezza, il futuro dei suoi cittadini.
In questo humus sono cresciuti i nazionalpopulismi xenofobi e razzisti. Il caso di Alternative für Deutschland che in tre anni dal nulla è entrato di prepotenza nei parlamenti di 9 Landers su 16 e il 4 settembre ha sconfitto la CDU, il partito della Merkel nel suo collegio, è quanto mai significativo. Di fronte ad eventi di questa portata, il cui messaggio ci dice che se l’Europa continuerà su questa linea la sua fine politica è già scritta (è una questione di tempi tecnici), qual è la risposta dell’Europa?
Per quanto possa apparire folle l’Europa continua con la stessa impostazione politica dell’Europa intergovernativa e delle politiche di austerità (con un po’ di flessibilità) che la stanno portando all’implosione.
Quindi, ancora, che fare?
Per noi si tratta di rivedere profondamente gli effetti del Fiscal Compact sino al raggiungimento di un tasso di crescita del 3% e di aprire una fase costituente che riscriva la Costituzione economica dell’Europa associata ad un avanzamento istituzionale che superi il punto di non ritorno verso la Federazione Europea. Operazione che inizia a smontare, punto per punto, l’assetto istituzionale e le politiche che l’hanno condannata alla deriva della dissoluzione.
L’errore clamoroso della politica europea, che ne misura la pochezza morale e politica, è consistito nel non dire ai propri popoli che la prospettiva del loro benessere e la pienezza della loro cittadinanza (lavoro, welfare, sicurezza, democrazia) poteva essere garantita solo dall’Europa economica e politica unita e dal bene comune che solo al suo interno poteva essere presidiato.
Crisi economica, migrazioni, terrorismo, tutti i fattori della deriva europea hanno un’origine globale che rende impotenti gli Stati nazionali e può essere governata solo da un’Europa federale, nella pienezza dei suoi poteri sovranazionali.Questa avrebbe dovuto essere la priorità strategica che una rappresentanza politica responsabile e lungimirante avrebbe dovuto spiegare ai suoi popoli e attuare.
Oggi la storia, presenta il conto: o il cambio di rotta verso una nuova Costituente o la dissoluzione.
Ma i tempi stringono: elezioni politiche nel 2017 in Francia, Germania, Olanda; elezioni europee nel 2018.
Per queste ragioni proponiamo un pacchetto di misure immediate che dimostrino, sul campo, il segno della svolta politica e istituzionale che si intende realizzare in Europa:
– alzare il Piano europeo di investimenti Junker a 1.000 Mld, integrato dai Piani di investimenti pubblici nazionali sottratti al calcolo del deficit;
– creare un Fondo europeo contro la disoccupazione, integrativo dei Fondi nazionali, quando il tasso di disoccupazione in un Paese membro supera la media europea;
– creare un Fondo europeo per l’occupazione giovanile;
– gestire in base alle quote obbligatorie i flussi migratori e avviare immediatamente politiche di cooperazione con i Paesi d’origine per risolvere alla radice il problema nel lungo periodo;
– creare immediatamente una forza militare di sicurezza europea.
Con queste proposte, realistiche e, soprattutto, in grado di dimostrare ai popoli europei le garanzie di futuro che solo l’Europa può offrire, i tre leader, Renzi, Merkel, Hollande dovrebbero presentarsi al Vertice di Bratislava che si terrà nei prossimi giorni e, di fronte alle eventuali obiezioni dei nazionalpopulisti già al potere, dall’Ungheria, alla Polonia, alla Repubblica Ceca, alla Slovacchia, all’Estonia, alla Norvegia ecc., porre il problema dell’Europa a due velocità: da un lato il gruppo dei Paesi fondatori e dei Paesi dell’euro disponibili ad accelerare verso l’Europa politica unita, dall’altro i Paesi che resteranno soltanto nel mercato comune.
Non è più il tempo delle finzioni e dei giri di valzer. Aver inseguito i nazionalismi populisti sul loro terreno sta travolgendo chi ha pensato di sconfiggerli con l’astuzia tattica priva di orizzonte strategico.
Helmut Khol quando decise di abbandonare il marco per l’Euro e di scommettere su una Germania europea e non su un’Europa tedesca dimostrò una straordinaria statura di leader e di statista che Angela Merkel deve ancora dimostrare di avere. E il tempo rimasto è poco.
La mia insistenza sui temi europei, che ho sempre seguito sin dal mio discorso di insediamento, ben prima che Renzi scoprisse Ventotene, ha una semplice motivazione: le disastrose conseguenze per il lavoro se l’Italia uscisse dall’Euro. Cosa tanto auspicata dal populismo di Grillo e Salvini.
Il populismo non serve a nessuno. Ai cittadini occorre dare istituzioni responsabili e democratiche e un progetto europeo rinnovato, più solidale e più inclusivo.
L’azione unitaria e i tavoli contrattuali
La nostra visione lungimirante, paziente e responsabile ha contribuito all’andamento costruttivo dei tavoli con il Ministro Poletti e dei tavoli contrattuali. È stata un’estate faticosa, di lavoro, ma siamo soddisfatti.
Fronte pensioni
I lavori del tavolo tecnico sulle pensioni hanno affrontato l’insieme delle questioni previdenziali contenute nella piattaforma unitaria, separando i temi da affrontare attraverso misure da inserire nella legge di stabilità, da quelli affrontabili in prospettiva.
Il Governo dovrebbe mettere a disposizione circa 2 Mld.
Con la legge di stabilità saranno date risposte ai seguenti temi:
– cumulo gratuito dei periodi retributivi e dei contributi maturati presso gestioni pensionistiche diverse;
– lavori usuranti e particolarmente faticosi e pesanti;
– uscita anticipata dal lavoro mediante il ricorso all’APE (prestito pensionistico);
– misure di intervento a favore dei lavoratori e delle lavoratrici precoci;
– tutela delle pensioni, estensione della platea dei beneficiari della quattordicesima mensilità, equiparazione No tax area pensionati-dipendenti e impegno a migliorare gli strumenti di perequazione al costo della vita;
– completamento delle salvaguardie (esodati) per i lavoratori rientranti nelle tipologie già previste dalle ultime salvaguardie, ma che matureranno i vecchi requisiti ante Fornero nei prossimi anni, utilizzando tutte le risorse finora risparmiate e destinate a tali scopi.
Gli argomenti sui quali, invece, continuerà il lavoro del tavolo tecnico per formulare ipotesi di soluzione sulle quali chiedere al Governo un impegno politico di prospettiva sono:
– eliminazione dell’automatismo dell’aumento dei requisiti pensionistici all’incremento dell’aspettativa di vita e diversificazione in base alle diverse categorie di lavoro;
– revisione dei criteri e delle modalità di calcolo e adeguamento dei coefficienti di trasformazione per il calcolo della pensione contributiva;
– rilancio delle adesioni alla previdenza complementare, investimento dei fondi pensione nell’economia reale e parificazione della tassazione sulle prestazioni pensionistiche complementari dei dipendenti pubblici al livello di quelli privati;
– previsione di strumenti di indicizzazione delle pensioni al costo della vita, che tengano maggiormente conto delle specifiche abitudini di consumo dei pensionati;
– valorizzazione del lavoro di cura e della genitorialità nel sistema contributivo;
– valorizzazione dei contributi versati e delle posizioni previdenziali maturate nella gestione separata INPS.
Molte sono le questioni aperte sui temi che abbiamo posto in discussione, una discussione seria e responsabile. Quello che per noi è positivo è essere riusciti a portare, concretamente, il confronto sulla flessibilità in uscita (Ape) con un’attenzione particolare alle categorie più svantaggiate (Ape Social), sulla questione del sostegno fiscale ai pensionati più vulnerabili (No Tax Area), sul sostegno al reddito dei pensionati (interventi sulla 14a), nonché sulle questioni previdenziali relative al cumulo gratuito, ai lavoratori precoci e ai lavori usuranti.
Fronte lavoro
Oltre a correggere la legge Fornero, siamo impegnati a correggere e integrare il Jobs Act.
Il Jobs Act, insieme agli sgravi fiscali per le nuove assunzioni, ha senza dubbio contribuito a sbloccare un mercato del lavoro ormai quasi inaccessibile. Gli ultimi dati sull’occupazione ci segnalano un aumento di 189 mila occupati sul trimestre precedente, con una dinamica positiva in tutte le tipologie.
Ad ogni modo, questo non è sufficiente: le sole leggi non bastano a far crescere l’occupazione, servono investimenti, innovazione, ricerca. Infatti, ci sono alcune questioni ancora da risolvere, che la Cisl ha messo in evidenza, a partire dagli ammortizzatori sociali, dalle politiche attive e dai voucher.
Al tavolo aperto sui temi del lavoro la Cisl ha posto fin dall’inizio una serie di questioni legate alla tutela dei lavoratori nelle transizioni da lavoro a lavoro e nelle crisi aziendali, per migliorare e/o dare piena attuazione ad alcune parti del Jobs Act. È evidente, infatti, che il grado di affidamento dei lavoratori all’impresa sarà più alto e l’approccio cooperativo più forte se vi sarà un grado di assicurazione nel caso in cui le cose volgano al peggio.
Alcune risposte sulle emergenze nelle aree di crisi sono arrivate con le misure annunciate dal Ministro nei giorni scorsi, che saranno inserite nel decreto correttivo del Jobs Act che sarà emanato entro settembre.
Per le aree di crisi complesse, come individuate con decreto del Ministero dello Sviluppo economico:
– verranno stanziati 85 milioni di euro per finanziare ulteriori periodi di Cigs, in deroga alla normativa relativa alla durata massima, fino a un massimo di 12 mesi, nelle aree di crisi complesse, attualmente localizzate in 9 Regioni (Friuli Venezia Giulia, Toscana, Lazio, Puglia, Molise, Marche, Abruzzo, Umbria, Sicilia);
per i lavoratori che entro il 2016 hanno terminato o termineranno la fruizione di trattamenti di Aspi, Naspi, mobilità, si prevede un intervento di tipo sociale che garantirà un importo di 500 euro mensili per un periodo massimo di 12 mesi, senza i requisiti Isee, ma a condizione che le persone coinvolte si rendano disponibili a percorsi di politiche attive. Tale intervento sarà finanziato con 150 milioni di euro, più un concorso delle Regioni del 20% per le politiche attive.
La nostra valutazione è positiva, in quanto hanno trovato risposte una parte delle nostre richieste, sulla base delle risorse disponibili nell’immediato presso il Ministero del Lavoro per il 2016.
Ora ci aspettiamo che il confronto con il Governo prosegua sul Documento Confindustria, Cgil, Cisl e Uil sulle Politiche per il Lavoro del 1° settembre scorso.
Abbiamo siglato questo accordo che mette insieme delle proposte comuni su crisi aziendali, ammortizzatori sociali, formazione e ricollocazione dei lavoratori e lo abbiamo inviato al Governo.
Questo è il nostro contributo concreto, fattivo e responsabile su tutte le questioni che riteniamo irrisolte e da affrontare con interventi di più lungo respiro per i prossimi anni, nella transizione alle nuove politiche del lavoro che sono già cambiate e che cambieranno per effetto del Jobs Act.
Il Documento, scaturito dalla comune riflessione in seguito al nuovo rallentamento del Pil e al forte ritardo nell’attuazione della riforma delle politiche attive, è un insieme coerente di proposte, anche con alcuni correttivi alla normativa relativa agli ammortizzatori sociali dettata dal Jobs Act, con l’obiettivo di affrontare al meglio la difficile situazione congiunturale e governare con più efficacia i processi di transizione industriale nei prossimi anni, con un modello innovativo di gestione delle crisi e delle ristrutturazioni aziendali che mette al centro la ricollocazione dei lavoratori, assegnando alle parti sociali, attraverso la contrattazione, un ruolo attivo e di grande responsabilità. Peraltro proponiamo di finanziare queste misure utilizzando parte del contributo di finanziamento dell’indennità di mobilità (lo 0,30%), che dal 2017 non sarà più dovuto, visto che la mobilità scomparirà definitivamente, sostituita dalla Naspi.
In particolare, sono state individuate specifiche soluzioni da adottare in due differenti contesti:
– nelle imprese interessate dalla CIGS, laddove siano previsti esuberi, si propone, attraverso un accordo sindacale, la condivisione di un “piano operativo di ricollocazione” finalizzato a favorire la formazione e la ricollocazione dei lavoratori già durante il periodo di cassa integrazione, rendendo conveniente la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro. Per le attività di formazione e di ricollocazione professionale le parti hanno previsto la possibilità di operare attraverso i fondi interprofessionali;
– nelle sole imprese che operano in Aree di crisi industriale complessa e non complessa, laddove vi siano concrete possibilità di rilancio delle attività produttive, si propone di derogare al limite complessivo di durata della cassa integrazione (deroga di 24 mesi per riorganizzazione, di 12 mesi per crisi aziendale, di 6 mesi nel caso di impresa che cessi l’attività), nonché, per il triennio 2017-2020, di prolungare la Naspi di 24 mesi, 36 mesi per il Sud, in considerazione, anche, della complessità e dei tempi che caratterizzano le operazioni di reindustrializzazione.
Dunque, un nuovo approccio alla gestione delle crisi e delle ristrutturazioni aziendali, che fa perno sulla formazione, in vista della ricollocazione dei lavoratori e affronta le crisi aziendali dal punto di vista dell’impresa e dei lavoratori, con l’obiettivo di ridurre il numero di licenziamenti, costruire un moderno ed efficace sistema di riqualificazione professionale, con il coinvolgimento attivo delle imprese e del sindacato, valorizzando, così, la contrattazione. E per le sole aree di crisi, al fine di favorire i processi di reindustrializzazione, una richiesta di prolungamento mirato degli ammortizzatori sociali.
Ma ci sono altri aspetti delle politiche del mercato del lavoro sui quali siamo impegnati nel confronto.
Il Governo sembra intenzionato a ripensare le modalità con cui si rende conveniente per le imprese l’accesso al lavoro stabile. Abbiamo portato al tavolo con il Governo la richiesta di prevedere anche nel 2017 un intervento che faccia costare il lavoro a tempo indeterminato meno delle altre tipologie contrattuali. Noi siamo aperti ad un confronto al riguardo, sapendo che si tratta di un tema delicato perché coinvolge la possibilità per coloro che lavorano di costruirsi un credito pensionistico che li porti ad una futura pensione adeguata e dignitosa.
Dopo il contrasto al falso lavoro autonomo è arrivato il momento di rafforzare le tutele, soprattutto quelle assistenziali e previdenziali, degli iscritti alla Gestione separata Inps. E poi l’aumento abnorme dell’utilizzo dei voucher, nati per far emergere lavoro nero e ora, paradossalmente, divenuti strumento per nasconderlo dimostra che restano ancora forti sacche di precarietà.
La Cisl, pur apprezzando le norme proposte dal Governo per la tracciabilità del voucher, ritiene urgente riportarne l’utilizzo ad attività che siano realmente accessorie o occasionali, da stabilire per legge (piccoli lavori domestici, assistenza domiciliare, supplenze private ecc.), affidando alla contrattazione collettiva, anche aziendale, la possibilità di ampliare tale elenco.
Il 21 settembre avremo il confronto politico con il Governo a chiusura dei tavoli su Lavoro e Pensioni. Entro il 27 settembre, con la variazione al Def, capiremo quali e quante risorse su questi temi il Governo inserirà nella legge di Stabilità 2017.
Per noi tutte queste riforme sono necessariamente legate a quello che per la Cisl è fondamentale, cioè migliorare le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici attraverso i contratti e la contrattazione. E lo stiamo facendo, insieme a Cgil e Uil, anche con la nostra proposta per un Nuovo modello contrattuale, che sta raccogliendo consensi e adesioni da varie parti datoriali.
Quel che è certo è che l’iniziativa unitaria del sindacato confederale ha avuto un’accoglienza in termini di riscontro e condivisione molto forte: si sono aperti tavoli di confronto con tutte le maggiori organizzazioni datoriali (Artigianato, Centrali Cooperative, Confcommercio, Confapi, Confprofessioni…).
Si tratta di tavoli in gran parte a stato avanzato di condivisione, rispetto ai quali si può immaginare una conclusione del negoziato già nelle prossime settimane. Siamo, infatti, alle battute finali con Confcommercio e Confprofessioni; abbiamo chiuso il tavolo con Confapi sul modello contrattuale, sulla rappresentanza e sulla detassazione. Con gli Artigiani tra un paio di giorni ci sarà un incontro nel quale intendiamo definire la parte che riguarda il modello contrattuale e la rappresentanza e prenderci l’impegno in un successivo incontro per chiudere anche sul tema della detassazione.
Anche l’intesa con Confindustria, che ho già illustrato, centrata sul lavoro attraverso il potenziamento delle politiche attive e passive si inquadra in questo contesto. Un’intesa che segue quella di luglio sul salario di produttività e sul welfare e che andrà completata con un accordo su nuove e moderne relazioni industriali.
Care Amiche, Cari Amici
Stanno emergendo tutti i nodi storici determinanti per il futuro dell’Europa, dell’Italia e, conseguentemente, del lavoro e della democrazia.
Abbiamo i valori etici, la strategia, il progetto per offrire il contributo che compete, più che mai, al nostro ruolo di rappresentanza del lavoro. Intendiamo esercitarlo, con responsabilità e con assoluta determinazione, sino in fondo.